Gli oceani, fonte di vita del “Pianeta Azzurro”
Il nostro pianeta si chiama Terra ma la sua superficie è acqua. Se fossimo astronauti e guardassimo da un oblò verso casa, nuvole permettendo, vedremmo un globo quasi perfetto dal colore blu con chiazze verdi intarsiate di marrone. A seconda della distanza vedremmo anche tante luci più o meno concentrate, le megalopoli, le metropoli, le città e poi più diffuse sul territorio, come fossero insegne che segnalano la vistosa presenza dell’umanità.
Ma la parte esterna del nostro pianeta è ricoperta per oltre il 70% da mari e oceani, una sorta di tessuto connettivo liquido che collega i continenti tra loro. Anche solo questa immagine ci mostra quanto l’acqua sia fondamentale per la vita terrestre.
Oceani e mari sono un patrimonio essenziale per la vita dell’uomo sulla Terra, ospitano una enorme quantità di forme di vita, influiscono sul clima, hanno fonti di cibo fondamentali e producono ricchezza economica e benessere. Per richiamare l’attenzione dei governi e dell’opinione pubblica sull’importanza della salvaguardia del loro stato di salute è stata istituita la Giornata Mondiale degli Oceani. A proporre il World Oceans Day fu il governo canadese nel 1992 al Summit della Terra che si tenne quell’anno a Rio de Janeiro. Nel 2008 la ricorrenza è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite e si celebra l’8 giugno in tutto il mondo.
Il tema dell’edizione 2021 è: “Oceano: vita e sussistenza”. Anche i numeri del report FAO 2020 confermano che gli oceani sono essenziali fonti di vita, forniscono direttamente oltre il 20% delle proteine animali a circa 3,3 mld di persone e lavoro a più di 260 mln perlopiù, circa il 90%, con la piccola pesca.
Per celebrare la Giornata Mondiale si terranno molte iniziative in tutto il mondo e anche in Italia ce ne saranno molte tra cui “Aspettando la Giornata Mondiale degli Oceani” webinar dell’ISPRA il 7 giugno e tante altre manifestazioni sparse in tutta la penisola.
Per capire meglio l’importanza di quanto ci rammenta questa ricorrenza ne parliamo con Roberto Danovaro, genovese, professore di Biologia Marina e Ecologia all’Università Politecnica delle Marche, giovane ma con una lunga e prestigiosa carriera accademica e tanti incarichi nazionali e internazionali rilevanti presso autorevoli istituzioni. Recentemente ha ricevuto il riconoscimento di “top scientist mondiale nella ricerca relativa a mari e oceani nel decennio 2010-2020” da parte della importante piattaforma Expertscape. Dal 2013 è il presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Istituto Nazionale di Biologia, Ecologia e Biotecnologie Marine, l’ente di ricerche più antico d’Italia, fondato nel 1872 che ha ospitato oltre venti Premi Nobel e oggi è tra le venti istituzioni di ricerca marina al mondo più rilevanti. Riconoscimenti significativi per la ricerca del nostro paese, un orgoglio nazionale.
Le precauzioni suggerite dalla epidemia da covid-19, chissà oggi con un pizzico di zelo di troppo o forse assuefatti a questa metodologia, per alcuni smart e che invece vorremmo si dissolvesse rapidamente insieme al virus, ci suggeriscono di fare la nostra conversazione con il telefono, al modo che sta diventando solito. Questo ci priva dell’incontro e della visita alla Stazione Zoologica ospitata in un palazzo di fine ottocento nella stupenda Villa Comunale di Napoli a ridosso del lungomare. Un peccato. Per chi volesse approfondire la conoscenza con la Stazione non deve fare altro che consultare il loro sito www.szn.it
Le curiosità sono tante e nonostante la amichevole disponibilità del professore a parlare di questi temi sia parecchia sono altrettanto numerosi gli impegni che lo riguardano e quindi il tempo a disposizione deve essere condensato. Cominciamo.
Qual è il ruolo degli oceani per la Terra?
«Beh il loro ruolo è essenziale. La vita è nata negli oceani è bene ricordarlo. 3,5 miliardi di anni fa le prime forme di vita sono proprio nate lì, l’atmosfera, l’aria che respiriamo è stata formata da organismi microscopici che vivevano proprio negli oceani. Se esistiamo lo dobbiamo a quelle minuscole creature che hanno iniziato a popolare gli oceani agli albori della vita sul pianeta».
Il professor Danovaro ci introduce così nella nostra conversazione.
«Gli oceani rappresentano non solo la nostra origine ma il nostro futuro e il nostro presente. Un miliardo di persone oggi dipendono esclusivamente dagli oceani per il proprio sostentamento in modo inestricabile cioè senza gli oceani non avrebbero di che alimentarsi. Poi perché circa un respiro ogni due che facciamo lo dobbiamo all’ossigeno prodotto proprio dalle piante e dalle alghe degli Oceani, perché il ciclo dell’acqua, anche quella che beviamo, deriva dalla evaporazione degli oceani e anche quella che berremo in futuro è legata alla capacità di desalinizzare le acque di mare».
Poi approfondisce sui cambiamenti climatici.
«Per non parlare poi della mitigazione dei cambiamenti climatici con l’assorbimento della co2 in eccesso. Oltre il 40% della anidride carbonica prodotta dall’attività dell’uomo viene assorbita dagli oceani e in questo modo rallentano i processi in atto».
Sull’inquinamento.
«Un processo altrettanto importante è quello relativo all’abbattimento degli inquinanti. Pensiamo che dalla nascita delle civiltà sul pianeta l’uomo ha sempre riversato nei fiumi e in mare tutti i propri scarti e pensiamo adesso anche alla vicenda della plastica. Gli oceani hanno un effetto di depurazione che tampona e risolve molti problemi dell’umanità».
Le prospettive future.
«Il futuro è legato al fatto che l’uomo ha sempre più bisogno di spazi dove vivere. Se andiamo verso la crescita della popolazione di almeno 11 miliardi di persone nei prossimi decenni è chiaro che la concentrazione delle attività umane sarà sempre più nelle grandi città e lungo le coste il che vuol dire che avremo sempre più una pressione sul mare. Il mare viene visto anche come uno spazio di sviluppo di possibili città galleggianti o sommerse e sicuramente è lo spazio del futuro per le energie rinnovabili, pensiamo a pannelli solari, agli impianti, ai generatori in mare aperto fluttuanti e così via. Insomma il mare è il futuro dell’umanità e questa giornata ci permette di ricordarlo e di fare il punto su questo aspetto».
Qual è lo stato degli oceani oggi?
«Le Nazioni Unite hanno dedicato il decennio 2021- 2030 proprio alla scienza degli oceani per lo sviluppo sostenibile. L’OCSE dice che il futuro del pianeta è delegato al mare ma è altrettanto vero che è legato al mare se noi siamo in grado di operare uno sviluppo ecosostenibile».
Il professor Danovaro ci inoltra nell’argomento.
«Non è possibile pensare a uno sviluppo eco e solidale se non lavoriamo per il mantenimento degli equilibri naturali, ce lo insegna la pandemia da covid. Tutto quello che viene fatto erodendo il capitale naturale del pianeta è una sottrazione di bene comune che pagheranno le fasce più deboli e vulnerabili o povere della popolazione. Allora ecco il punto; lo sviluppo degli oceani dev’essere sostenibile ecologicamente, in termini di occupazione e di business. Gli obiettivi devono avere sempre un presupposto, se alteriamo l’ambiente marino non abbiamo la possibilità di rendere durevoli i beni che produce, che durino nel tempo, che siano in grado di valere per noi, per la generazione dei nostri figli e per quella dei figli dei nostri figli – poi precisa – Abbiamo alterato il 66% degli oceani rispetto all’epoca precedente alla seconda rivoluzione industriale della fine dell’800. Quel processo ha segnato il cambiamento del pianeta perché ha determinato la formazione del cosiddetto antropocene, cioè la prima era geologica come l’ha definita il premio Nobel Crutzen, in cui l’uomo ha potuto alterare in modo drastico tutte le caratteristiche del pianeta su cui vive, nessuna specie prima e neanche la nostra fino ad allora lo aveva fatto. E’ stato generato dalla capacità di uno sviluppo tecnologico che ha reso l’uomo sempre più abile e capace di fare, di crescere, di vivere, di allungare la sua età media e quindi di consumare di più il pianeta».
Il nostro interlocutore parla con partecipazione e trasporto e anche se collegati da satelliti lontanissimi che girano vorticosi nello spazio sopra le nostre teste la sua passione per quello che fa arriva e si sente.
Cosa non si deve fare e invece cosa si deve fare per invertire il processo e migliorare la situazione?
«Per avere uno sviluppo sostenibile non possiamo fare al mare quello che abbiamo fatto alla terra. Quello che stiamo facendo adesso per recuperare il capitale naturale terrestre deve essere fatto anche per quello marino e i problemi principali che minacciano il pianeta blu sono tutti legati direttamente o indirettamente all’uomo, il principale è la distruzione degli habitat – poi specifica – L’uomo ha fisicamente alterato o distrutto una porzione sempre più importante, si calcola dal 20 al 30%, di tutti gli ambienti costieri grazie alle sue attività, questo ha determinato un effetto terremoto sugli ecosistemi. Distruggere un habitat marino equivale a abbattere la foresta di bambù per i panda, equivale a togliere lo spazio vitale dove la biodiversità può riprendersi – annota – un altro elemento è quello del prelievo insostenibile delle risorse. L’uomo ha talmente pescato e ucciso, non sempre per necessità, soprattutto le componenti più grandi degli ecosistemi marini che ha praticamente miniaturizzato gli oceani, sono decimati i grandi mammiferi, sterminati gli squali. Solo nel Mediterraneo la maggior parte delle specie di squalo è diminuita dal 90 al 99% rispetto solo a un secolo fa. Una cosa incredibile. Questo non sta pregiudicando solo quello che c’è cioè la quantità di vita oggi ma è un problema di funzionamento. Gli squali, i cetacei, svolgono un ruolo di regolazione, questi grandi organismi si poggiano su una struttura molto articolata e complessa e la stabilizzano. Poi c’è l’inquinamento. Alcune cose sono state fatte, da giovani ci sporcavamo il costume con la nafta che arrivava a riva, adesso il lavaggio delle grandi petroliere non è più possibile, almeno nei nostri mari, però continua una depurazione del trattamento delle acque di scarico che è molto insufficiente, si calcola che d’estate funzioni al 30% ma dati certi non ce ne sono e abbiamo un fiorire di nuove molecole legate a diversi prodotti di cui conosciamo ancora poco l’impatto. E sopra tutto i cambiamenti climatici globali che negli oceani hanno effetti più lenti ma più persistenti e pervasivi come il riscaldamento delle acque superficiali, quindi la stratificazione delle acque di superficie che si separano da quelle più profonde, più fredde, che provoca problemi di ridotta circolazione, quindi mancanza di nutrienti e minore produzione. Da qui al 2050 avremo oceani sempre più poveri, senza produzione primaria, senza vegetali e con l’aumento dell’anidride carbonica che li sta acidificando. Gli oceani hanno un effetto tampone sui gas serra che vengono assorbiti ma diluita in acqua l’anidride carbonica diventa acido carbonico, diminuisce il ph e sarà un problema per tutti gli organismi che producono carbonato, come le cozze, i coralli, le conchiglie, che rischia di essere disciolto e poi si stanno espandendo le zone che sono sempre con meno ossigeno cosa che determina mortalità massiva degli organismi marini».
Un quadro preoccupante in cui cambiamenti climatici e inquinamento agiscono in modo sinergico
La Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli è un ente di ricerca storico, il prossimo anno saranno addirittura 150 anni dalla fondazione. Qual è la vostra mission?
«Quando fondò la Stazione Anton Dohrn la ispirò alla teoria della evoluzione di Darwin perché riteneva che quella visione di un processo evolutivo di trasformazione biologico e sociale, che si scontrava contro quella creazionista fin lì imperante, fosse una rivoluzione culturale da seguire. Nel corso degli anni ci siamo trasformanti e oggi studiamo come l’uomo e i cambiamenti globali stanno forzando i processi evolutivi planetari».
In cosa consiste il vostro lavoro?
«Svolgiamo sia ricerca pura ispirata dai grandi problemi della scienza sia ricerca applicata cioè quella volta a risolvere dei problemi. Possiamo studiare il modo in cui disinquinare con dei batteri mangia petrolio l’inquinamento di Bagnoli così come possiamo studiare i meccanismi di rigenerazione di un braccio di stella marina o del sistema nervoso di un polpo per poi capire se esistono relazioni che possono essere utili anche all’uomo».
Spesso gli oceani sono vissuti dalle persone come un elemento pericoloso se non addirittura ostile. Dobbiamo averne timore?
«Intanto è sempre bene avere timore della natura, ci vuole un grande rispetto per un’entità gigantesca che stiamo ferendo e ha una dimensione straordinaria. Bisogna aver paura della natura quando non la rispetti e ce lo dimostrano i casi di costruzioni in aree idrologicamente instabili o sulla battigia del mare ecc che vengono distrutti da eventi episodici. L’uomo dovrebbe costruire con la logica di chi guarda in una prospettiva di 200 anni non di che vuole sfruttare per propri interessi personali – poi prosegue – La sicurezza dell’uomo è legata alla previsione dell’innalzamento degli oceani legato ai cambiamenti climatici. Non è tanto lo scioglimento delle calotte polari ma quanto il riscaldamento. Riscaldare vuol dire dilatare e più scaldiamo, più il volume degli oceani aumenta e più si gonfiano. Gli oceani si gonfieranno, si dilateranno. Il riscaldamento delle acque superficiali comporterà anche dei fenomeni meteorologici anomali come tornado, uragani che si rifletteranno sull’erosione delle coste».
Di giornate mondiali dell’ONU dedicate all’ambiente in generale, all’acqua, alla terra ecc ce ne sono diverse compresa quella di oggi dedicata agli oceani. Secondo lei sono appuntamenti importanti per la crescita di una consapevolezza ambientale?
«Sono appuntamenti molto importanti perché ci permettono ogni volta di ricordarci da dove veniamo e dove dobbiamo andare. Papa Francesco ci dice che non è possibile restare sani in un mondo malato significa che il futuro dell’umanità anche dei più poveri anche dei più giovani anche dei più anziani è legato proprio alla qualità dell’ambiente e vuol dire che non abbiamo più scuse, sappiamo qual è il problema, abbiamo gli strumenti, sappiamo cosa dobbiamo fare».
Il colloquio è stato coinvolgente e lungo e dobbiamo andare alla conclusione anche se ci sarebbero ancora cose da chiedere ma lo faremo la prossima volta, senza coronavirus e nella sede della Stazione Zoologica Anton Dohrn a Napoli.
Finiamo con una indicazione per i nostri lettori. Gli oceani sono un elemento gigantesco e prendersene cura un’impresa titanica ma tante piccole azioni possono determinare un risultato importante. Cosa potrebbe suggerire a ognuno dei nostri lettori per celebrare con un atto concreto la Giornata Mondiale degli Oceani, qualcosa che ognuno di noi potrebbe fare nel suo piccolo?
«Si tre cose semplici. Mangiare in modo responsabile. Scegliere che pesce mangiamo è già una soluzione. Non pescespada, non tonno, non vongole prese con le draghe idrauliche, dobbiamo mangiare pesce azzurro più buono e meno contaminato. Non usare la plastica monouso perché il 5% di tutte le plastiche monouso finisce in mare. Rispettare la natura quando andiamo al mare, ridurre gli impatti degli ancoraggi delle piccole imbarcazioni quando ci fermiamo in una caletta, evitare la raccolta degli organismi, dei cavallucci marini delle stelle marine. Quando le troviamo viviamole ma non deprediamo la natura, rispettiamola perché in questo modo l’anno prossimo potremo goderne di nuovo».