A Pompei resuscita il menù degli Antichi Romani
Molte risposte su cosa mangiavano sono arrivate dall’eccezionale ritrovamento di un termopolio perfettamente conservato nel sito archeologico più importante d’Europa. Dopo 2 mila anni, nei piatti sono stati trovati resti di ossa animali e altri cibi cucinati
di Barbara Civinini
All’incrocio tra il vicolo delle Nozze d’argento e quello dei Balconi, nella Rĕgĭo V di Pompei, è riemerso un termopolio, vale a dire una tavola calda dell’epoca, in perfetto stato di conservazione, con una splendida immagine di Nereide raffigurata sul banco di servizio. Il sito era già stato messo in sicurezza l’anno scorso nell’ambito del Progetto governativo di risanamento, finanziato con fondi europei FESR, e data l’eccezionalità dei reperti si è deciso di portare a termine lo scavo.
Sul lato più corto del bancone è raffigurata probabilmente la stessa bottega con le anfore appoggiate sul suo lato esterno, proprio come sono state ritrovate dagli archeologi. Nell’ultimo braccio di bancone portato alla luce sono emerse scene di nature morte, il disegno di un cane al guinzaglio, quasi un monito alla maniera del famoso Cave Canem, e altre rappresentazioni di animali, probabilmente macellati e venduti nel locale, come le due anatre germane esposte a testa in giù, pronte a essere preparate, e un gallo. I loro frammenti ossei sono stati rinvenuti dentro i recipienti, collocati nello spessore del bancone, che contenevano i cibi destinati alla vendita.
“Oltre a trattarsi di un’ulteriore testimonianza della vita quotidiana a Pompei, le possibilità di analisi di questo termopolio sono eccezionali – spiega Massimo Osanna, Direttore Generale ad interim del Parco Archeologico di Pompei – perché per la prima volta si è scavato un simile ambiente per intero ed è stato possibile condurre tutte le analisi che le tecnologie odierne consentono. I resti contenuti nei dolia del bancone forniranno dei dati eccezionali per capire cosa era venduto e qual era la dieta alimentare dell’epoca.
I termopoli, dove si servivano bevande e cibi caldi, come indica il nome di origine greca, conservati in grandi giare incassate nel bancone in muratura, erano molto diffusi nel mondo romano, dove era abitudine consumare il prandium (il pasto) fuori casa. Nella sola Pompei se ne contano un’ottantina. Le prime analisi confermano come le pitture sul bancone rappresentino, almeno in parte, i cibi e le bevande effettivamente venduti nel locale. Nei contenitori, infatti, come si è accennato è stato rinvenuto un frammento osseo di anatra insieme a quelli di suino, caprovini, pesci e lumache di terra, testimoniando la grande varietà di prodotti di origine animale utilizzati per la preparazione delle pietanze.
Sul fondo di un dolio usato per contenere il vino è stata individuata la presenza di fave, intenzionalmente macinate. Apicio nel De re Coquinaria (I,5) ce ne fornisce il motivo, asserendo che venivano usate per modificare il gusto e il colore del vino, sbiancandolo.
“Con un lavoro di squadra, che ha richiesto norme legislative e qualità delle persone – afferma il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini – oggi Pompei è indicata nel mondo come un esempio di tutela e gestione, tornando a essere uno dei luoghi più visitati in Italia in cui si fa ricerca, si continua a scavare e si fanno scoperte straordinarie come questa”.